Gli Archetipi

La parola archetipo deriva dal greco e significa “immagine originaria”.

E’ un termine che viene introdotto dai filosofi greci per delineare “principi universali”, “modelli preesistenti” della realtà e che verrà recuperato da C.G. Jung, fondatore della “psicologia analitica”, per delineare gli elementi strutturanti l’“inconscio collettivo”.

Attraverso la sua attività clinica e in particolar modo attraverso l’analisi dei sogni, Jung si accorse che alcune immagini o situazioni oniriche non potevano essere spiegate solamente attraverso l’esperienza personale dei suoi pazienti ma, al contrario, sembravano appartenere ad un “sapere condiviso”, un patrimonio storico-esperienziale comune a tutta l’umanità che sembrava essere “ereditato” insieme al patrimonio genetico.

Accanto al più freudiano “inconscio personale”, Jung postulò quindi l’esistenza di un più antico “inconscio collettivo”, depositario di quei modelli originari di comportamento e di rappresentazioni da lui definiti archetipi.

Questi modelli di funzionamento psichico possono essere identificabili nel modo innato che ha il pulcino di emergere dall’uovo, l’uccello di costruire il suo nido o in specifici modelli comportamentali attraverso i quali ci rapportiamo al mondo semplicemente in quanto uomini: la paura, il pericolo, le relazioni tra i sessi... Al contempo ne possiamo intravedere la presenza nelle produzioni psichiche dell’umanità, come i sogni, l’arte, le favole, le religioni o le mitologie che ci appaiono così profondi e universali.

Gli studi di Jung e dei suoi primi seguaci si concentrarono su quella che possiamo definire la dimensione psichica dell’archetipo, ponendo l’attenzione sulle rappresentazioni archetipiche presenti nei miti, nelle religioni e nelle favole. Recentemente l’aspetto  biologico dell’archetipo è stato recuperato dagli studiosi, in particolare, un moderno orientamento psicosomatico quale quello Ecobiopsicologico, ne ha messo in rilievo la dimensione somatica.

Per l’Ecobiopsicologia infatti gli archetipi sono considerati “prima che immagini mentalmente rappresentabili, delle vere e proprie funzioni attive nella dimensione biologica, nel corpo” (Frigoli, Cavallari, Ottolenghi “La psicosomatica, il significato e il senso della malattia”).

D. Frigoli evidenzia come gli archetipi siano il risultato di esperienze comuni dell’umanità che vengono sedimentate nella memoria filo e ontogenetica della specie. Essi permettono alla psiche di tradurre istinti e materia in immagini e rappresentazioni che affondano però le loro origini nel “segreto della materia e del corpo”.

Ad esempio, la capacità dell’Io psicologico di “nutrirsi” introiettando esperienze, affetti ed emozioni, spesso ben rappresentata in miti, pratiche sociali e religiose (l’eucarestia cristiana ad esempio), nasce da un’esperienza biologica universale quale quella dell’ alimentazione che troviamo concretizzata nell’apparato gastrointestinale dell’uomo e di molte altre specie viventi.

Ancora, la nostra capacità di riconoscerci come individui unici e separati dal resto del mondo, ritrova il proprio fondamento biologico nella funzione di differenziazione tra interno ed esterno svolta dalla nostra pelle, così come dal nostro sistema immunitario o, andando più in profondità, dalla membrana cellulare.

L’archetipo Ecobiopsicologico diventa così psico-somatico in quanto biologico e psicologico allo stesso tempo. Esso appartiene ad una zona dell’inconscio che Jung chiamava psicoide, in cui materia e psiche sono ancora indifferenziati e che può essere esplorata attraverso l’uso del simbolo, che ha la capacità di legare insieme i due territori in un processo di significazione.

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